La produzione delle terapie avanzate sta attraversando un momento particolarmente favorevole, al netto però delle molte sfide tecnologiche ed etiche alle quali è chiamata a rispondere.
Ne abbiamo parlato con Massimiliano Petrini, Qualified Person della cell factory presso l’IRCCS Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori Dino Amadori di Meldola e Presidente di NOTA (Network Officine Terapie Avanzate). L’intervista a Massimiliano Petrini inaugura una nuova sezione del nostro blog aziendale, nella quale ospiteremo conversazioni con i più significativi esponenti del mondo biotech.
Dottor Petrini, si parla da tempo dei vaccini anticancro, ma negli ultimi anni, anche grazie alle tecnologie sviluppate per fare fronte alla pandemia, si è passati rapidamente dall’approccio preventivo a quello terapeutico. Negli USA è già stata approvata una soluzione di questo tipo: a che punto siamo in Europa?
Per quanto riguarda il nostro prodotto di terapia avanzata, all’IRST di Meldola abbiamo ottenuto l’approvazione AIFA per 5 protocolli clinici sperimentali su diverse patologie tumorali (fra cui il melanoma, il glioblastoma, il mesotelioma), in combinazione anche con anticorpi monoclonali. Siamo attualmente impegnati nello studio di fase 2, dunque stiamo verificando l’efficacia di questi trattamenti, che sono a base di cellule dendritiche e in regime autologo (un lotto di produzione corrisponde a un paziente), quindi associati a costi piuttosto importanti.
A livello europeo, così come nel resto del mondo, queste terapie stanno vivendo una fase di forte sviluppo, sia nel campo delle terapie cellulari somatiche che in quello della terapia cellulare modificata geneticamente (ad esempio CAR-T) e della terapia genica. Posso citarle il caso della terapia genica approvata per la beta-talassemia, caratterizzata da un alto tasso di guarigione. Nell’ambito di questo periodo di grande crescita a livello europeo, occorre tuttavia focalizzare l’attenzione sugli aspetti di sostenibilità economica, in particolare perché si tratta di trattamenti in regime autologo.
La Cell Factory dell’IRST IRCCS di Meldola, di cui lei è Qualified Person, è coinvolta nella sperimentazione di un vaccino a cellule dendritiche per il trattamento di alcuni tipi di tumore, fra cui il glioblastoma: quali sono gli aspetti più interessanti del manufacturing che hanno reso possibile la realizzazione di questi studi?
La nostra esperienza nell’allestimento di questi prodotti supera i 10 anni, dunque possiamo definirla un’esperienza consolidata. In questo periodo abbiamo osservato l’assenza di tossicità di tali trattamenti, un aspetto che semplifica la gestione medica e ospedaliera. Dal punto di vista del manufacturing, siamo impegnati in un’attività di miglioramento continuo della produzione, anche attraverso l’uso di sistemi chiusi ed automatizzati, che garantiscono una riproducibilità e una sicurezza del prodotto sempre maggiori.
A proposito di terapie oncologiche, le CAR-T hanno rappresentato una svolta epocale in ambiti tradizionalmente ostici, ma il numero delle officine di produzione in grado di realizzarle è ancora molto limitato nel nostro Paese: perché e quali iniziative si potrebbero mettere in campo per migliorare la situazione?
Questo è un aspetto molto importante, perché poche officine produttrici si traducono in pochi prodotti disponibili. Occorrerebbe, a questo proposito, intervenire aumentando il numero di officine oppure potenziando le officine attualmente presenti sul territorio nazionale. Tuttavia, ritengo sia fondamentale anche il coinvolgimento delle aziende private che, insieme alle officine accademiche e a quelle ospedaliere, dovrebbero creare un meccanismo produttivo incentrato su modelli diversi rispetto a quello hub&spoke (un unico centro produttivo con diversi siti di somministrazione). Penso infatti che la strategia produttiva del futuro dovrebbe essere orientata all’istituzione di più centri produttivi che includano anche i relativi siti di somministrazione. Per raggiungere questo obiettivo sarà necessario, a mio parere, coinvolgere le farmacie ospedaliere, che, per quanto riguarda l’allestimento di farmaci sperimentali, dovranno essere compliant alle GMP. Fra qualche anno avremo farmacie ospedaliere, quindi siti produttivi già presenti nei siti di somministrazione, in grado di ospitare anche tutte le tecnologie necessarie alla produzione. Quindi occorrerà predisporre un sistema formativo destinato alle figure professionali coinvolte ed un sistema che permetta la produzione in questi ambiti. Ciò che si sta facendo in questo momento in Italia in alcuni ambiti delle biotecnologie può essere utile allo scopo. A questo proposito, citiamo l’iniziativa dell’Osservatorio Terapie Avanzate. OTA ha messo in piedi diversi tavoli di discussione fra tutti gli operatori del settore, coinvolgendo i reparti di produzione e di controllo di qualità, per cercare di analizzare tutti i punti critici che rallentano sia la produzione che lo sviluppo di tali terapie, portare proposte per le possibili soluzioni agli enti regolatori e, insieme a loro, cercare soluzioni condivisibili che permettano di accelerarne lo sviluppo e la produzione. In quest’ottica, ricordo anche la fondazione di NOTA (Network Officine Terapie Avanzate), associazione che ha lo scopo di fare network fra le varie officine per accelerare la soluzione di problemi spesso comuni.
Tornando agli aspetti di sostenibilità economica, cui lei accennava poco fa, come si potrebbe, a suo parere, rendere meno critico l’attuale contesto?
Anzitutto, se parliamo di malattie croniche (come nel caso della beta-talassemie, alle quali facevo riferimento prima), occorre mettere sui piatti della bilancia degli investimenti anche tutti i costi risparmiati in termini di assistenza al paziente lungo tutto il corso della sua vita. Più in generale, ritengo che, per rendere più sostenibili queste terapie, sarebbe vantaggioso agire soprattutto sul processo produttivo, progettando processi snelli e veloci che permettano di ridurre i costi produttivi. Inoltre, si dovrebbe puntare sui prodotti allogenici: non più, quindi, prodotti per i quali ogni lotto è destinato ad un paziente, ma per i quali ogni lotto è diretto a più pazienti. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di creare piattaforme produttive riproducibili, massimizzandone la flessibilità. Penso che in Italia molte cell factory presenti sul territorio siano già obsolete: alcune sono state infatti costruite 10-15 anni fa, ma nel frattempo l’ingegneria e la tecnologia hanno fatto passi da gigante e oggi già non si parla più della classica cell factory, ma di ambienti di produzione di classe D o classe C realizzati utilizzando degli isolatori, quindi sistemi chiusi, correlati anche ad una riduzione dei costi di mantenimento degli impianti.