Sugli ATMP stiamo crescendo, ma serve più formazione

Negli ultimi anni le vescicole extracellulari hanno mostrato grandi potenzialità per la cura, ponendosi come possibili nuovi vettori per le terapie del futuro. Ma di cosa si tratta e, soprattutto, perché attraggono l’interesse di tanti gruppi di ricerca?

Ne abbiamo parlato con Valentina Fonsato, Qualified Person della Cell Factory del Molecular Biotechnology Center (MBC) dell’Università di Torino, da tempo impegnata in progetti di ricerca in questo ambito.

Dottoressa Fonsato, nei pazienti con malattie terminali del fegato e non idonei al trapianto la terapia cellulare rappresenta una soluzione in grado di regalare tempo e vita: a che punto siamo nel percorso di sviluppo?

Vede, noi ci occupiamo in particolare di pazienti con insufficienza epatica acuta, pazienti che non hanno alternative. In assenza di interventi, nel giro di qualche ora nel loro organismo si innesca un processo di disfunzione multiorgano in cui, progressivamente, a partire dal fegato, tutti gli organi iniziano a perdere funzionalità fino a quando subentra il decesso. In questi casi, pertanto, la terapia cellulare assume una funzione potenzialmente salvavita. Da questo punto di vista, oggi siamo a buon punto: ci sono diversi studi clinici che già supportano l’impiego della terapia cellulare finalizzata alla rigenerazione degli organi. Per quanto riguarda la nostra esperienza, abbiamo già ottenuto l’approvazione del nostro studio clinico che è in corso di revisione. Abbiamo eseguito la convalida di processo e siamo pronti per partire con lo scopo di offrire un’alternativa salvavita a questi pazienti.

È stato osservato che le vescicole extracellulari da cellule staminali epatiche sono in grado di inibire la crescita di alcune forme tumorali del rene (lei stessa se ne è occupata in una serie di studi): come possiamo sfruttare questo fenomeno e quali ulteriori step occorre intraprendere in questo senso?

Da qualche anno ha preso vita un filone di utilizzo delle vescicole extracellulari nella clinica. Si tratta di vescicole che tutte le cellule del nostro corpo rilasciano in maniera fisiologica. In particolare, le vescicole extracellulari rilasciate dalle cellule staminali (nel nostro caso dalle cellule staminali epatiche) possiedono diverse attività che possono essere utili nella terapia. Ad esempio, trasportano l’attività biologica delle cellule da cui originano e, essendo cellule staminali, sono in grado di offrire molti benefici: in primis la rigenerazione tissutale e in seconda battuta anche attività antitumorali a livello del rene (un aspetto di cui mi sono occupata personalmente), del fegato e di altri organi. Il vantaggio delle vescicole extracellulari rispetto alle cellule mamme da cui derivano è rappresentato dal fatto di non avere un nucleo: ciò non consente loro di riprodursi una volta arrivate nell’organismo del paziente ed esclude il rischio di sviluppo di forme tumorali. Inoltre, sembra che le vescicole extracellulari siano più resistenti ai cicli di congelamento e scongelamento rispetto alle loro cellule mamme. Tutti questi aspetti le rendono un’alternativa molto interessante dal punto di vista clinico. Credo che stia prendendo il via una nuova era, nella quale le vescicole extracellulari potrebbero essere usate come terapia in sostituzione delle cellule staminali da cui originano. Al momento l’ente regolatore le ha indicate come prodotti biologici, ma in effetti questi prodotti si trovano ancora in un’area grigia. Se è vero che in sé rientrano a tutti gli effetti nell’ambito dei prodotti biologici, è altrettanto vero che vengono isolate da colture di cellule, inquadrate invece come terapie avanzate. In generale, c’è ancora molta strada da fare nella gestione di questi elementi dal punto di vista regolatorio. Sono peraltro prodotti in forte ascesa, sui quali cominciano ad attivarsi studi clinici, in particolare sulle cellule staminali mesenchimali. La nostra esperienza è quella di isolare le vescicole da cellule staminali epatiche, mantenendo un focus sulla medicina rigenerativa e sulla terapia antitumorale: negli studi di preclinica abbiamo infatti osservato un buon effetto antitumorale per quanto riguarda sia il rene che il fegato, il nostro obiettivo principale. Per il futuro, dunque, è necessario definire sia un processo produttivo ripetibile e standardizzato che gli aspetti regolatori specifici di questo nuovo prodotto.

Presso la Cell Factory di cui lei è Qualified Person è stato da qualche anno istituito il Master Universitario di II livello Cellule Staminali in Medicina Rigenerativa e Management, promosso dal Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute e diretto dalla prof. Fiorella Altruda: quanto ritiene pesi una formazione specifica nella definizione di un curriculum brillante nelle biotecnologie avanzate?

Soprattutto in questo periodo, nel quale i prodotti per terapia avanzata stanno prendendo piede, ritengo sia fondamentale avere una formazione specifica. Non intendo tanto dal punto di vista pratico, perché alla fine le attività legate a produzione cellulare, colture cellulari, controlli di qualità sono state sicuramente trattate nel corso di laurea di provenienza. Quello che, invece, dal mio punto di vista è importante è il supporto ad un cambio di mentalità. A questo proposito, cito un aspetto della mia esperienza personale: io sono nata ricercatrice e successivamente mi sono dedicata alle terapie avanzate e posso dire che ciò che manca quando ci si occupa di questi prodotti è la proof-of-concept, il razionale per cui è necessario eseguire determinate attività o azioni in un certo modo. Su cosa può impattare questo aspetto? Nel percorso di ricerca, ciò che può succedere se si commette un errore è che si fallisca un esperimento: ciò causa frustrazione e perdita di tempo e materiale, ma non causa danno al paziente. Nel nostro caso, nel caso di un’officina farmaceutica che deve realizzare un prodotto da usare per trattare il paziente, le cose cambiano: un errore può provocare un evento avverso nel paziente, già indebolito da una patologia. Per minimizzare il rischio di errore è necessario un cambio di mentalità, che può essere di fatto sostenuto da una formazione solida (dell’operatore, dello studente, della persona che vuole intraprendere un percorso professionale di questo tipo) su ciò che è necessario fare per produrre un farmaco che sia di qualità e sicuro per il paziente. Nei nostri corsi di laurea, a mio avviso, c’è scarsa formazione sulle officine farmaceutiche che si occupano dei prodotti di terapia avanzata che vengono somministrati ai pazienti. Parliamo non di prodotti tradizionali, ma di farmaci a base di cellule, soggetti ad una regolamentazione diversa. Ciò che mi auguro per il futuro, ma credo che sia già attualmente in fase di espansione, è un aumento del numero e della frequenza dei corsi di formazione su questi temi già nei corsi di laurea.

Dottoressa, per avere una buona carriera in un buon centro di ricerca italiano è sempre necessario fare un passaggio all’estero?

Ritengo che anche da questo punto di vista ci stiamo evolvendo. I nostri laboratori, centri di ricerca e corsi di laurea prevedono sempre più intensamente la possibilità di fare esperienza in laboratorio, in prima persona. Già i nostri corsi di laurea prevedono scambi all’estero e, quindi, la possibilità di fare esperienza in altri Paesi: ciò è utile per capire come ci si comporta a livello internazionale. Credo che l’estero sia importante ma non mandatorio. Oggi, per quanto riguarda la ricerca, noi siamo all’avanguardia, esattamente come gli altri Paesi europei, ma ritengo anche che dobbiamo migliorare l’esperienza pratica nelle officine farmaceutiche, un ambito in pieno sviluppo. Il mio auspicio, da questo punto di vista, è che si organizzino corsi ed esperienze nelle officine per coloro che vogliono intraprendere una carriera nella produzione di farmaci di nuova generazione destinati alla somministrazione ai pazienti. Nella nostra Università, grazie al progetto di eccellenza del Dipartimento, verrà attivato proprio un ciclo di Dottorato di Ricerca sull’argomento. Stiamo andando avanti e stiamo crescendo.

La diffusione di una maggiore formazione in questo ambito consentirebbe anche di avere più professionisti da inserire nelle officine farmaceutiche e, in definitiva, permetterebbe di ampliare il numero di officine sul territorio…

Esattamente… Vede, per come stanno andando le cose, sembra che questi prodotti di terapia avanzata (che sia terapia cellulare o terapia genica) stiano davvero prendendo piede e generando risultati convincenti che ci autorizzano a pensare che da trattamenti di seconda o terza linea quali sono ora potranno un giorno entrare nella pratica clinica. Quando questo accadrà, ci sarà naturalmente bisogno di sostenere la produzione: quindi, che si tratti di creare network, hub o nuove officine farmaceutiche, ci sarà bisogno di reclutare nuovo personale.